Fake news e odio online – il focus con giornalisti ed esperti per il prequel DIG.eat

Si è tenuto ieri il focus su fake news e odio online organizzato da ANORC in collaborazione con Agenzia di stampa Dire, il quarto appuntamento della rassegna del “Prequel” DIG.eat, che anticipano l’evento annuale dell’Associazione, in programma dal 18 gennaio al 12 febbraio 2021 su piattaforma dedicata. 

Ad animare il webinar un ricco panel di esperti: Maria Elena Capitanio, Giornalista e scrittrice su Huffington Post, Isabella Corradini, Psicologa sociale, Presidente Centro Ricerche Themis, Stefano Epifani, Presidente del Digital Transformation Institute e Direttore di Tech economy 2030, Stefano Lamorgese, Giornalista di Report/Rai3, Bruno Mastroianni, Filosofo e Social Media Manager di trasmissioni RAI e Giovanni Ziccardi, docente di Informatica giuridica presso l’Università degli Studi di Milano. A moderare il presidente di Anorc Professioni, avvocato Andrea Lisi, in due giri di tavolo dedicati rispettivamente ad un confronto sui processi che caratterizzano l’architettura delle fake news e i meccanismi alla base dei fenomeni di odio online. Ecco alcuni passaggi della mattinata.

Il primo intervento è stato di Stefano Lamorgese, giornalista della trasmissione televisiva Report, che ha aperto il dibattito spiegando come spesso l’accusa di produrre fake news venga utilizzata come strumento di intimidazione o tentativo di freno al giornalismo di inchiesta. “Spesso siamo noi giornalisti ad essere accusati di diffamare. Il computo è ormai arrivato a 279, sono le citazioni in giudizio che Report ha preso finora, perdendo una sola volta per l’uso di una fotografia non autorizzata e non per una notizia falsa inserita in un’inchiesta. Ben oltre i 75 milioni di euro l’ammontare dei risarcimenti richiesti solo negli ultimi 10 anni, senza considerare i precedenti.  In realtà noi ci premuniamo il più possibile di fornire un’informazione corretta e verificata, muovendoci sempre con dei documenti in mano: ciò non toglie che alla nostra veste di aggressori, si aggiunge spesso quella di aggrediti.”

Lamorgese ha poi aggiunto “io sono anche il Vicepresidente dell’Associazione “Amici di Roberto Morrione”, un mio carissimo amico, con il quale fondammo il nucleo dello sportello anti-querele presso la federazione nazionale della stampa che serviva a combattere quelle minacce di denuncia che molto spesso, come succede a Report, inducono a non parlare di un argomento.” E riporta l’esempio di quanto accaduto di recente in redazione “la scorsa settimana è pervenuta una busta contente una lettera minatoria a firma delle nuove Brigate Rosse, con all’interno della polverina bianca. Si menzionava il contenuto di antrace e quindi siamo stati costretti a chiamare i Carabinieri del nucleo batteriologico rimanendo bloccati fino a mezzanotte in redazione. Succede anche questo, insomma!”.

Giovanni Ziccardi ha spiegato che per contenere il fenomeno “il diritto è completamente disorientato. Abbiamo già dei problemi in partenza con la definizione di fake news e disinformazione, nel cercare di comprenderne i vari tipi. È possibile distinguerne almeno due forme: quelle correlate ad una vera e propria guerra dell’informazione, legata a gruppi statali o parastatali e quelle “accidentali”, causate da episodi non legati ad un obiettivo preciso, ma che accadono”

A livello interno si cerca di fare quello che può con la previsione di reati quali la diffamazione, il disordine pubblico, l’alterazione dei mercati. “E secondo me non c’è bisogno di altro diritto. Ci sono le norme, c’è magari più bisogno di cooperazione. Dal punto di vista internazionale è invece un guaio perché non ci sono accordi. È stato fatto qualche tentativo di commissioni sulle fake news, però bloccato da stati che hanno un interesse primario. È una nuova forma di guerra. Noi giuristi stiamo studiando diversi punti: la capacità di creare un clima di abitudine agli scandali, di creare sfiducia nelle istituzioni, di essere uno strumento di attrito tra stati per generare crisi diplomatiche e minare la cooperazione, una leva per abbassare il senso critico dei cittadini o condizionare un altro stato verso decisioni che non vanno incontro all’interesse nazionale. Concentrarsi troppo sulla tecnologia distrae dai problemi della società”.

   Maria Elena Capitanio ha invece parlato della “responsabilità immensa dei giornalisti” nel contrasto al fenomeno. “Serve- ha spiegato- un grande equilibrio nel gestire le informazioni che arrivano. Perché quando sei in un grande gruppo editoriale arrivano tantissime segnalazioni da fonti anonime. Se parliamo di fake news, il grande tranello in cui possono cascare i giornalisti è confondere con notizie le informazioni verosimili. Magari ci sono gruppi di potere o lobby interessate a che qualcosa esca e ti danno un dossier che sembra vero dove però nel verosimile ci sono cose che possono attentare alla tenuta di un governo o all’andamento in borsa di una società”. L’altro rischio è lasciarsi andare alla tentazione di “trasformare il proprio lavoro nella gestione di una sfera di influenza. Li puoi anche solo attraverso un titolo disinformare o informare non in maniera corretta. Ci vuole buon senso ed equilibrio- conclude- mettere l’ego da parte è fondamentale”.

Su questo punto Lamorgese ha aggiunto che per i professionisti “esistono codici deontologici”. Ricordando come “sta alla disciplina del giornalista ma anche il controllo nella filiera redazionale, che a volte segue le logiche di mercato”.

Per Stefano Epifani “dobbiamo cominciare a renderci conto che i modelli di business basati sui dati prettamente quantitativi, cioè sul fare traffico, stanno determinando la morte dell’informazione. E cominciare a ragionare su soluzioni che richiedano una riacquisizione di responsabilità del giornalista, ma anche da parte del lettore. Perché se le fake news esistono è merito di chi le propaga anche di chi le diffonde”. Il presidente Digital Transformation Institute ha ricordato che “le fake news non nascono in rete. La rete incrementa il problema perché agisce con regole proprie delle reti sociali, ma le informazioni corrono ad una velocità tale da abbattere la possibilità di controllo. Inoltre, essendo la diffusione spesso nell’ambito di network sociali di amici, si abbatte anche la soglia di guardia perché c’è maggiore fiducia”.

Ragionando sulle possibili metodiche di arginamento del fenomeno, Epifani conclude che “quando pensiamo alle fake news la prima tendenza è dare il ruolo di controllore a chi contribuisce alla diffusione, ma se diamo il ruolo di censori della verità a questi vettori, attribuiamo un immenso potere: dobbiamo guardarcene”. Secondo Epifani “qualsiasi meccanismo che sviluppa fake news non può e non deve avere una chiave risolutiva di tipo censorio. Come affrontare allora il tema? In due modalità: da una parte diffondendo più cultura, cioè facendo capire agli utenti che non tutto quello che leggono è vero. Dall’altra creando meccanismi di controllo trasparenti. Significa che sia in termini di contenuti, che di algoritmi dovremmo sapere quali sono le modalità secondo le quali un determinato contenuto è stato ritenuto da qualcuno vero o falso. Questo coinvolge anche gli utenti perché possono sapere come un contenuto viene giudicato, da chi eventualmente è stato ritenuto falso e perché”.

Alla psicologa sociale Isabella Corradini, il compito di raccontare cosa sta cambiando nelle persone che oggi vivono in un contesto così mutevole: “C’è un aspetto legato alla cognizione e alla percezione- spiega la psicologa- in quanto una notizia falsa per effetto di un rimbalzo tra i social finisce per diventare quella ufficiale avendo la meglio su quella vera. La corsa alle smentite così diventa un lavoro e costante e impegnativo con risorse cognitive… e anche economiche. In alcuni casi c’ è il rischio che si rafforzi il messaggio fake”. Per trovare le ragioni di questo fenomeno “parliamo molto di tecnologie e social media, ma io continuo a ribadire la centralità dell’aspetto umano, in quanto componente fondamentale. Bisogna considerare meccanismi come quello del bias cognitivo, che ha grande rilevanza. Quanti, quando leggono notizie, si smettono a ricercare le fonti e individuare l’autorevolezza delle fonti? Magari si fermano al titolo e così facendo incorrono negli errori sistematici del bias, che è un costrutto basato su pregiudizi che non corrispondono alla realtà dei fatti e dunque porta errori nel processo decisionale. Nel caso del bias di conferma, vengono filtrate solo le informazioni che ci fanno comodo”. Secondo Corradini, inoltre, “le fake news sono la scintilla, la minaccia per espressioni d’odio. C’è un collegamento tra questi messaggi che hanno un aspetto cognitivo perché esercitano un’influenza sulla percezione delle persone e le condizionano emotivamente. Stimolano paura e rabbia e portano alle azioni che purtroppo vediamo spesso”.

A quest’ultimo concetto si è collegato Bruno Mastroianni: “fake news e odio sono due argomenti che si toccano. Il punto vero è questo disordine informativo è ‘l’acqua in cui nuotiamo’, in cui i fabbricatori di fake news trovano un terreno fertilissimo. Non dimentichiamo che le fake news funzionano, sì perché sono orchestrate in campagne magari elaborate attraverso sistemi tecnologici, ma poi perché si infilano nelle microinterazioni. Classico esempio, quello di chi in un gruppo WhatsApp inserisce una serie di informazioni ‘memizzate’, rese facilmente fruibili e divertenti. È lì che quella interazione diventa la più influente in assoluto. Insomma, dobbiamo puntare sul ‘cittadino informato quanto basta’. Perché non possiamo chiedere al cittadino di diventare giornalista, professore o ricercatore universitario. Possiamo però attrezzare il cittadino per aiutarlo a compiere un percorso, attraverso una formazione -seppur minima- che sia in grado di far riconoscere a ciascuno le mosse da compiere nel “labirinto” informativo. Altro punto importante: la cura del dissenso, che non è smettere di contrapporci. Non possiamo aspettare il giorno in cui l’inquinamento informativo sarà totalmente debellato, è fondamentale che il giornalista mantenga il suo ruolo”.


Vi ricordiamo che il percorso di avvicinamento al DIG.eat, si chiude la prossima settimana con il quinto appuntamento della rassegna dei Prequel, in attesa che l’edizione 2021, pensata come il primo racconto digitale diffuso in streaming, abbia inizio il prossimo 18 gennaio.

Tra gli sponsor che hanno già scelto di far parte della nuova edizione: SIAV, Dgroove e CSQA.

[Comunicato a cura di Agenzia Stampa DiRE]

Webinar - Nuovo tracciato e altre news sulla fattura elettronica

martedì 15 dicembre alle 10:30

L’ultimo appuntamento del Prequel DIG.eat è in programma per la prossima settimana: martedì 15 dicembre gli esperti Fabrizio Lupone e Rosario Farina prenderanno parte al webinar “Nuovo tracciato e altre news sulla fattura elettronica”, in diretta gratuita su canale YouTube e pagina FB di ANORC dalle 10.30 alle 12.30.