Processo telematico e solidarietà digitale: la testimonianza di Pierpaolo Beluzzi, in collaborazione con Men At Work

Nell’ambito delle iniziative di “Solidarietà digitale”, vi segnaliamo l’iniziativa intrapresa da uno dei nostri associati,  Men at work, sponsor del DIG.eat 2019 a supporto del progetto di innovazione e flessibilità portato avanti dal dott. Pierpaolo Beluzzi, in ambito processuale.

Il dott. Beluzzi si è da sempre distinto per aver portato, all’interno degli ambienti di giustizia, nuove metodologie di lavoro attraverso la tecnologia con l’obiettivo di velocizzare e snellire le procedure burocratiche. A seguito della dematerializzazione dei fascicoli processuali, avvenuta a già a partire dal 2003 e l’introduzione del concetto, poi applicato, di udienza digitale nel 2010, il dr Beluzzi ha il merito di aver tracciato l’inizio di un vero e proprio cambiamento i cui benefici sono ancor più evidenti con l’attuale emergenza Covid-19.

Vi proponiamo di seguito l’intervista al Dr. Beluzzi incentrata, tra l’altro, sullo stato di attuazione della digitalizzazione nelle Pubbliche Amministrazioni Italiane e sull’importanza di investire nelle competenze digitali dei dipendenti pubblici.

L’attuazione della digitalizzazione nelle Pubbliche Amministrazioni Italiane è ancora lenta, nonostante le numerose norme che disciplinano la materia (CAD, Piano triennale 2019.2021, ecc.): quali sono le principali difficoltà e criticità che impediscono la concreta realizzazione?

Ritengo che sia il cronico problema dell’organizzazione gerarchica, piramidale della nostra PA e specialmente quella statale. Si vuole ancora “pensare” un modello digitale di organizzazione che possa essere “adeguato” al personale attuale (anziano) presente negli uffici, e che riproponga le ordinate, rigide, chiuse linee dei processi decisionali dalla base al vertice della piramide, passando da ogni grado intermedio. Un modello che di fatto ripropone l’organizzazione analogica, solo che spesso in maniera meno efficiente. Ne consegue che l’user si trova costantemente a raffrontare i due modelli simili, analogico e digitale, e il più delle volte non ha un ritorno di “Pareto efficienza”, ovvero non ottiene un’immediata impressione di trarre un beneficio personale dall’utilizzo del nuovo modello organizzativo digitale proposto. Da qui disaffezione, frizioni, resistenze. E la risposta del vertice della piramide è – solo – l’imposizione. Si impone il modello, anche a pena di sanzioni disciplinari per il mancato utilizzo.

L’approccio, a mio avviso, dovrebbe essere completamente diverso: “service oriented” dove sia i soggetti interni alla PA che esterni sono “user”, e quindi beneficiari diretti dei servizi proposti. L’obiettivo è di fornire “servizi” ovvero modalità di lavoro migliorative, che vengono scelte dall’operatore interno ed esterno perché immediatamente vantaggiose, e non utilizzate solo perché imposte dall’alto. E il “service oriented” non può che guardare al mercato digitale, ovvero la digitalizzazione della PA non può che far parte dello sciame, per soluzioni adottate, dei casi di innovazione digitale di diffuso successo. E soprattutto iniziare a pensare le PA digitale secondo un modello di “rete”: la rigidità del sistema piramidale non consente quella flessibilità, quelle risposte reattive, quei processi innovativi di condivisione che il digitale consente e richiede.

 

Quali sono i vantaggi per una PA nell’investire nelle competenze digitali dei suoi dipendenti?

Credo che sia necessario operare il “salto” generazionale (e purtroppo per noi anche doppio o triplo): pensare modelli organizzativi per i nativi digitali ormai pronti a entrare – si spera – finalmente nella PA.

Ragazzi che portano all’interno del mondo lavorativo della Pubblica Amministrazione la loro naturale propensione all’utilizzo di smartphone, tablet, a connettersi con il mondo. Personale giovane che di fatto ha già una formazione base avanzata, e dovrà unicamente essere “skillato” su alcuni applicativi – senza particolari difficoltà se a loro volta avranno modalità di funzionamento e interfacce note alle “communities”. Oltre una decina di anni fa ero stato chiamato a tenere alcuni corsi di formazione alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione in materia di “dematerializzazione”. Mi aspettavo di trovare ventenni – trentenni, sui quali la PA stava investendo per il futuro, in un settore in piena espansione e strategico: erano al contrario tutti funzionari con ampia esperienza, alcuni prossimi alla pensione, e la partecipazione al corso concepita in ottica di premialità all’anzianità, alla carriera, al grado.

L’obiettivo deve essere quello di investire sui giovani e creativi “mediatori intelligenti”, in grado di trovare innovative soluzioni applicative di tecnologie messe a disposizione dagli specialisti di filiere, e offrire pertanto nuovi servizi agli utenti. I cd “codificatori di regole” devono intervenire solo alla fine del processo, al più accompagnarlo, evitando di imporre norme e restrizioni che inibiscano la creatività.

Purtroppo noto – come nell’ultima emergenza Covid-19 in corso – come la dirigenza della PA sia più reattiva a “regolamentare” le novità, a restringerne il campo di azione, con accordi, circolari, protocolli preventivi (come sta avvenendo nel settore Giustizia,  di fronte alle spinte proattive  di sperimentazioni di collaborazione online) piuttosto che mettersi un passo indietro, a lato, e accompagnare il processo aspettando che la creatività si esprima nelle sue forme e piena potenzialità, prima di iniziare un processo di standardizzazione delle soluzioni migliori e più performanti.  La potrei definire un’ansia da prestazione: il dirigente che non sa innovare, si rifugia nel campo che gli è familiare, la conservazione del controllo gerarchico, la codificazione preventiva, e nella produzione di un profluvio di direttive, regole, editti. Calma, lasciamo che le energie si liberino, cogliamone i frutti e standardizziamo i processi vincenti che sono emersi, in un processo costante di innovazione

 

Con l’avvento del Processo Penale telematico quali sono i limiti e le opportunità che si incontrano rispetto al processo tradizionale?

Fare tesoro delle esperienze e degli errori del passato è la prima opportunità per una corretta impostazione del nuovo PPT. Se l’impostazione sarà veramente “service oriented” non vedrò limiti ad un passaggio al digitale anche nel penale.

Le applicazioni ormai ventennali che abbiamo sperimentato e applicato al Tribunale di Cremona ci consentono di immaginare un procedimento e processo veramente online, dove la partecipazione di tutti gli attori – che equivale al pieno esercizio delle facoltà e dei diritti previsti dal CPP – può in maniera flessibile e smart concretizzarsi nelle fasi di collaboration (telepresence,) e sharing (condivisione documentale in tempo reale). Con questi due presupposti organizzativi, intesi come silos di servizi indipendenti (e quindi facilmente sostituibili) ma capaci di interagire e collegarsi facilmente possono essere assicurate tutte le fasi di formazione del fascicolo processuale durante le indagini preliminari, fino alla archiviazione a lungo termine all’esito dei processi, con le interazioni di tutti gli attori. Concepire un PPT su questo modello significa anche alleggerire i database relativi ai registri, che seppur “potenti” non devono essere chiamati a gestire anche i documenti, ma solo a fornire dati strutturati al sistema di Content Management.

E l’altro approccio vincente, a fronte di un servizio digitale offerto con caratteristiche di “Pareto – efficienza” – è la ricerca della spontanea adesione alle nuove modalità di interazione processuale. Oltre il 90% dei processi penali ad oggi non sono a rischio di “condizionamenti” esterni per l’audizione del testimone a distanza, l’alta definizione o sistemi di immersione visiva maggiori consentono ormai di replicare il cd “body speech”, per non parlare dei riti alternativi, di fatto documentali. Se si entra – come naturale – nell’analisi cost-benefit, anche il difensore non avrà alcun interesse, impregiudicati i diritti del proprio cliente e la qualità del proprio apporto professionale – a pretendere un “processo tradizionale”, che significa più costi di trasferimento, maggiori tempi di attesa, e più budget da investire, a fronte di incassi non sempre certi e in un contesto ormai concorrenziale. Nel contradditorio, il Giudice, il PM e il Difensore sapranno apprezzare le “specificità” del processo che richieda – anche solo per una parte – un “ritorno” al tradizionale.

 

Solidarietà digitale a supporto delle PA: in cosa consiste l’attività intrapresa insieme a Men at work?

Ringrazio Men at Work  per aver accolto immediatamente  la richiesta di collaborazione – in contesto di solidarietà digitale –  con il nostro Tribunale e Distretto di Corte d’Appello, finalizzata in questa prima fase ad implementare una stabile piattaforma documentale Cloud Alfresco, e consentire lo scambio dei fascicoli, atti e documenti fra le parti processuali, nonché molte forme di Smart Working (anche attraverso sistemi di workflow attivabili) sia per magistrato che per il personale di Cancelleria.  Si stanno altresì valutando alcune interessanti soluzioni di MAW inerenti firme digitali, protocolli di deposito, agili software per la generazione di workflow documentali, tutte integrate con la piattaforma documentale Alfresco, in grado di semplificare – sempre in un contesto di piena conformità al CAD e al Codice di Procedura Penale -, le procedure di generazione e deposito di tutti gli atti processuali. Soluzioni semplici, immediatamente applicabili con customizzazione pressochè nulla, ad immediato impatto sulla gestione documentale digitale e i processi decisionali del ns “management” – ovvero di noi giudici.

 

Vi ricordiamo che Men at Work Srl è tra le aziende associate ad ANORC ad aver conseguito il doppio Quality Tag, gestione e privacy, volto a testimoniare l’alto profilo qualitativo nei servizi offerti.

I Quality tag ANORC sono uno strumento prezioso per valorizzare sul mercato la propria realtà: vi invitiamo a consultare questa pagina per maggiori informazioni.

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