Dove nascono le citazioni? – Riflessioni sparse sullo speciale di Lo ho-BIT dedicato agli archivi

Quante volte scorrendo la bacheca di un social ci siamo soffermati su un aforisma da condividere nella nostra storia, per rappresentare uno stato d’animo? O ancora, abbiamo sostituito un nostro intervento in un gruppo con amici e/o colleghi con delle parole famose in grado di esprimere al meglio la nostra posizione o, semplicemente, un augurio, piuttosto che del sarcasmo? In altre occasioni, sarà capitato di preparare un discorso o scrivere un articolo partendo proprio da una frase che sia d’ispirazione.
Una citazione.

 

Ma cosa sono le citazioni?

Oggi esistono intere pagine social dedicate solo alla pubblicazione di citazioni e allo stesso tempo diversi profili adottano l’inserimento di post o card contenenti frasi d’autore per aumentare l’interazione.
Da definizione una citazione è un “riferimento di passi d’autore”[1] ossia delle frasi estrapolate da un determinato contesto (una poesia, una canzone, un film, un romanzo…) che assumono una loro autoconsistenza, dovuta ad un grado di astrazione tale da rendere i concetti espressi di dominio praticamente universale e adattabili alle più diverse situazioni.

Quindi non si tratta solo di “scopiazzare una frase”, ma di compiere una serie di azioni ragionate in maniera sequenziale e ponderata: in altre parole, applicare un metodo alla base di un vero e proprio lavoro già per i tempi medievali. Forse in pochi avranno sentito parlare della figura dell’escertore, ossia il selezionatore di excerpta, passi scelti di un’opera, o delle varie opere di un autore, pubblicati a parte.

 

Un lavoro vero e proprio

In pratica possiamo dire che oggi, accanto ai creatori di meme, questa figura dell’escertore stia tornando alla ribalta, in qualche modo sopravvissuta alle epoche in versione 2.0. Il “problema” è che per quanto sia stata in grado di reinventarsi, il suo metodo resta sempre quello classico: selezionare passi scelti da una fonte affidabile. E qui arriva il vero nodo di questa professione, o meglio, il suo punto di intersezione con un’altra figura ad essa spesso complementare, quella dell’archivista, lasciando il passo anche a riflessioni di natura giuridica.

Per quanto il nostro “selezionatore di passi scelti” sia scrupoloso, chi può davvero garantirgli che quella frase sia da ricondurre a Jim Morrison piuttosto che al Dalai Lama? Entra in gioco chi si sta occupando di garantire la consegna della memoria alle future generazioni, come sottolineato nel corso della puntata speciale di Lo ho-BIT di giovedì 8 ottobre, condotta dall’Avv. Andrea Lisi, dedicata proprio  all’importanza degli archivi digitali[2].


L’importanza degli archivi (sì, anche per le citazioni!)

“Internet non permette di attribuire con certezze gli aforismi che leggiamo un po’ ovunque. Molto spesso si tratta di contenuti, magari alterati, attribuiti ad autori diversi: in altre parole, non possiamo essere certi della fonte di provenienza”.

Quali sono allora gli unici “luoghi” in grado di garantire la provenienza certa di un determinato contenuto? Sono e continuano ad essere gli archivi. Si tratta di un compito non banale, che continua ad essere cruciale specie in un’epoca liquida come quella che stiamo vivendo.

Solo gli archivi ci permettono di contestualizzare ed avere certezza di un contenuto, “mentre ci stiamo abituando sempre più a poggiare le certezze della nostra esistenza su altri strumenti, che sembrano assomigliare o in qualche modo imitare le vecchie consuetudini cartacee, ma di fatto si rivelano profondamente diversi”.

 

Ma la rete non è per sempre?

Nel corso della puntata, l’Avv. Lisi ha richiamato il monito lanciato dall’ex Presidente del Garante della privacy, Antonello Soro, emblematico: “Quello che mettete in rete resta. Per sempre”.
Un concetto apparentemente in contraddizione con quanto fin qui sostenuto, ma che in realtà rivela un aspetto ben più profondo se letto in questo modo: ciò che affidiamo alla rete potrebbe restare per sempre. Ma non è detto che sia esatto o autentico.

I bit, per loro natura, sono facilmente modificabili o peggio ancora cancellabili. In altre parole, non regalano quella certezza tipica del supporto, che sia pietra, pergamena, papiro o carta. Di fatto in quest’epoca manca un qualcosa di “materiale” che sia in grado di custodire con affidabilità la nostra memoria (escludendo le bacheche dei nostri social).

 

Come comportarci allora?

Sembrerà strano a dirsi, ma nel mondo digitale sarebbe opportuno continuare a muoversi per “imitazione” del passato analogico, cercando di ricreare la certezza data dall’affidabilità di un supporto e di un contesto in grado di preservare la memoria, attraverso l’attuazione di precise procedure.

In assenza di questi presupposti e dell’applicazione di un metodo scrupoloso, le nostre care citazioni rischiano di restare solo “frasi scopiazzate” destinate ad ispirarci sul momento, ma non a stimolare nessun tipo di ricerca o di ispirazione, ben più profonde.


[1] O ancora: “L’indicazione del titolo, volume, pagina di un’opera (ed eventualmente del luogo e della data di edizione, ma talora anche del solo nome dell’autore), alla quale si rimanda per stabilire rapporti con quanto si scrive o si dice, oppure per dare autorità a quanto si afferma”

[2] I successivi virgolettati sono “citazioni” di passaggi della puntata

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