di Andrea Lisi (Avvocato, Presidente ANORC Professioni) e Francesca Cafiero (archivista, Professionista della digitalizzazione di ANORC Professioni)
Premessa importante: in Italia non (dovrebbero) esistere archivi figli di un Dio minore. Non lo prevede la normativa e non lo contempla neppure la tradizione archivistica italiana che, insieme a quella tedesca, vanta tra le radici più profonde d’Europa.
Benché stiano entrando a far parte della materia sempre più termini, concetti e standard provenienti dal mondo anglofono, complice anche l’informatica e dunque la digitalizzazione dello stesso patrimonio informativo pubblico e privato, non dobbiamo per questo tralasciare le nostre origini, né dimenticare da dove siamo partiti nell’intraprendere questo percorso. Ed ecco perché tenendo bene a mente almeno tre elementi, gli archivi privati non dovrebbero soffrire di un malcelato complesso di inferiorità rispetto a quelli pubblici, posto che il mantenimento della memoria (autentica) è un problema comune a entrambi.
Cosa 1: la normativa
Proviamo a fare ordine partendo dalla recente normativa in materia. La digitalizzazione italiana ha inizio con una scelta fondamentale, l’adozione di un “Codice”, il Codice dell’Amministrazione Digitale istituito con il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ma che sembra però vantare un peccato originale di fondo: l’essere, almeno in apparenza, rivolto alle sole pubbliche amministrazioni.
In realtà, a mancare è ancora una diffusa consapevolezza in merito a questo fondamentale testo normativo che deve guidare l’agere documentale non solo di qualsiasi soggetto pubblico, ma – almeno nei suoi principi fondamentali -anche di qualsiasi ente privato, infatti come stabilito dall’articolo 2 comma 3 “le disposizioni del presente Codice e le relative Linee guida concernenti il documento informatico, le firme elettroniche e i servizi fiduciari di cui al Capo II, la riproduzione e conservazione dei documenti di cui agli articoli 43 e 44, il domicilio digitale e le comunicazioni elettroniche di cui all’articolo 3-bis e al Capo IV, l’identità digitale di cui agli articoli 3-bis e 64 si applicano anche ai privati, ove non diversamente previsto”. Quindi, tutto ciò che nel CAD si riferisce alla formazione, firma, trasmissione e conservazione dei documenti informatici è da ritenersi parimenti applicabile a soggetti pubblici e privati.
Il problema è che questo tentativo del Legislatore, soprattutto tecnico di disciplinare negli anni in un unico sistema normativo sia ambiti pubblicistici, che privatistici nel contesto digitale si è rivelato piuttosto maldestro, arrivando troppo spesso a complicare inutilmente processi che ben avrebbero potuto essere semplificati e svilendo alcuni indispensabili presidi più vicini al settore privato, assorbendoli nell’alveo che caratterizza i documenti amministrativi, laddove sicuramente è importante tutelare il valore di fede pubblica tipico dell’archivio di una PA.
Ma non per questa ragione il CAD, insieme alle regole tecniche (apparato attualmente trasfuso nelle linee guida AgID sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici), ossia il nucleo fondamentale per tutte le attività del settore archivistico digitale nazionale, può essere oggi considerato utile per definire le sole esigenze dell’archivio pubblico. E infatti così non è.
Andrebbe, però, senz’altro fatto ordine sistematico e avviata un’opera di “pulizia” e sintesi nel rebus normativo che ormai caratterizza tristemente la materia.
Cosa 2: figure (e regole) professionali
Archivi pubblici e archivi privati vantano delle professionalità comuni, in primis la figura dell’archivista, la cui importanza era già riconosciuta in ambito analogico, ma è sempre più necessaria anche in ambiente digitale. Sono principalmente (ma non esclusivamente) gli archivisti, seppur in ottica fortemente interdisciplinare, chiamati a ricoprire alcuni tra i ruoli previsti dalle stesse linee guida:
- Responsabile della gestione documentale
- Responsabile della conservazione
- Responsabile della funzione archivistica di conservazione
- Coordinatore della gestione documentale
Si tratta di un elenco di figure, alle quali appartengono determinati requisiti professionali, individuati dalla stessa AgID che fondamentalmente riguardano il possesso di competenze giuridiche, tecniche e archivistiche, che però, a differenza di quanto avveniva con l’“archivista cartaceo”, difficilmente una sola persona fisica può garantire.
Ed è forse la reductio ad unum di queste figure, che spesso avviene in ambito pubblico per ragioni di economicità a far credere che i compiti affidati a questi professionisti, in particolare al Responsabile della conservazione, debbano essere assolti necessariamente da una persona fisica e non possano essere demandati a una persona giuridica[1]. Ma quello che può essere in qualche modo comprensibile per il settore pubblico, non sempre ha un senso nel settore privato, dove occorrerebbe privilegiare la libertà d’impresa.
Cosa 3: attività sul campo
In estrema sintesi, il “peccato originale” del CAD, del quale si accennava in apertura, sembra aver portato a suggerire che anche le sue regole tecniche e i relativi allegati debbano essere strutturati (e interpretati) per il solo ambito pubblicistico, quasi dimenticandosi del tutto delle esigenze privatistiche.
A confermare questa spiacevole sensazione non può non aggiungersi una palese criticità: i Gruppi di Lavoro nazionali predisposti per confrontarsi sull’evoluzione della stessa normativa di settore, difficilmente prevedono un’apertura al settore privato. Sono chiusi a chiave alle partecipazioni dei soli enti e associazioni rappresentativi del settore pubblico. Ovvio che poi le evoluzioni e involuzioni normative e interpretative tendano a livellarsi su convinzioni stratificate nell’esperienza pubblicistica.
E da ultimo non può non far riflettere la circostanza che l’Agenzia per l’Italia Digitale abbia convocato il nuovo Forum della conservazione dei documenti informatici dimenticandosi proprio di quella fetta rappresentativa del comparto privato che è rimasta del tutto esclusa dal tavolo di confronto. E non può davvero non apparire incredibile che a un appuntamento così importante manchino del tutto quei soggetti conservatori che gestiscono non solo documenti di rilievo privatistico, ma anche pubblicistico, così come le Associazioni rappresentative di questo particolare mercato, una tra tutte ANORC, la quale da sola rappresenta più del 60% dei soggetti che operano in entrambi gli ambiti.
Forse occorrerebbe finalmente e per una buona volta fermarsi un attimo a riflettere e interrogarsi così in modo lucido su quali siano tutti gli interlocutori indispensabili da coinvolgere per decidere insieme dove e come procedere in un settore delicatissimo, dal quale dipende la nostra memoria collettiva che è rappresentata dall’ambito pubblico, come da quello privato.
E speriamo che l’Agenzia possa cosi segnare, su un taccuino, per i prossimi anni chi coinvolgere!
[1] Si legga in proposito l’articolo a firma di Luigi Foglia e Andrea Lisi, Archivi digitali: il Responsabile della Conservazione deve essere solo una persona “fisica”?, pubblicato su Anorc.eu e raggiungibile da questa pagina.
Copertina: Fonte: Pexels – foto di Markus Spiske