DAD, click day, Immuni? L’innovazione inciampa per mancanza di strategie – intervista all’Avv. Andrea Lisi

Dalle difficoltà a far viaggiare l’app Immuni, ai click day che finiscono per andare in crash, sino alla didattica a distanza indigesta a molti studenti e docenti: l’Italia continua a inciampare nella corsa all’innovazione. Il problema è che “da una parte c’è il soluzionismo tecnologico, cioè, la voglia di risolvere i problemi con la tecnologia, dall’altra c’è un certo pressappochismo, cioè, non inseriamo le diverse soluzioni tecnologiche all’interno di una strategia nazionale”.

Questa la lettura dell’Avvocato ed esperto in Diritto dell’Informatica Andrea Lisi, in un’intervista alla Dire

La DAD come può migliorare?

“La stiamo affrontando con il metodo sbagliato. È vero che siamo in emergenza, ma abbiamo avuto qualche mese per attrezzarci meglio. Come? Appunto disegnando una didattica che sia adatta alle varie tipologie di studenti, perché un bambino delle scuole medie non ragiona come uno delle elementari e sicuramente non come uno delle superiori. Sarebbe stato utile programmare la didattica in maniera diversa, magari adottare delle piattaforme nazionali, perché noi stiamo affidando la totale autonomia agli istituti scolastici nella scelta di player privati che potrebbero anche trattare i dati degli studenti a loro insaputa (o addirittura profilarli).
Speriamo che a nessuno venga in mente di farlo. Ma dal punto di vista tecnico sarebbe senz’altro teoricamente possibile. In ogni caso sarebbe corretto che fosse lo Stato ad aiutare scuole, licei e università a scegliere gli strumenti più opportuni”.

 

I click day, si possono fare in un’altra maniera?

“Il nostro Stato non dispone della potenza di calcolo che possono avere alcuni big player – come Google o Amazon – quindi, nel momento in cui si hanno troppe richieste in un solo giorno, i sistemi inevitabilmente crollano. È quello che sta succedendo troppo spesso, non solo durante i click day. Bisogna chiedersi: è davvero logico fissare le domande in un giorno canalizzando così in una sola occasione tutte le richieste? E per risolvere il sovraccarico ha senso riutilizzare le code? Queste caratterizzano tristemente il nostro modello analogico e le ricreiamo a livello digitale? Noi dobbiamo capire qual è il problema e risolverlo con una strategia per il digitale, cosa che non facciamo né per la DAD, né per la PA.
Quando invece dagli anni ’90 abbiamo una normativa che ha cercato di impostare una strategia condivisa e sensata. Dal 2005 esiste un Codice dell’Amministrazione digitale che si continua a rimaneggiare, ma la maggior parte degli articoli rimane inesorabilmente inattuata. Si dovrebbe ripartire dai diritti e doveri dei cittadini e della Pubblica Amministrazione in ambiente digitale per rimodellare la nostra democrazia e il nostro modello di cittadinanza digitale”.

 

Immuni non ha fatto la differenza, come mai?

“È stata progettata male, scelta male e inserita male nella strategia sanitaria. È ormai tristemente evidente a tutti come il tracing non fosse stato ben integrato nel SSN. Quando si impianta una tecnologia, anche perfetta, in sistemi vecchi è difficile viaggiare. Un altro esempio di soluzione tecnologica adottata senza pensare bene alle competenze dedicate e senza organizzare un contesto per accoglierla”.

 

Si tende in generale a fare poca attenzione alle competenze?

“È tra i mali del nostro Paese. Abbiamo tante normative all’avanguardia però nessuno le porta avanti. Regolamenti molto tecnici che nelle PA nessuno conosce e a volte siamo anche noi professionisti a ignorarle. Se non è un avvocato a sollecitare i suoi clienti per agire, quindi, attivare i diritti in maniera digitale, è ovvio che gli stessi amministratori pubblici saranno ‘sonnecchianti’. Ecco perché, ad esempio, nessuno avvia un procedimento davanti alle autorità competenti basato su una violazione di diritti di cittadini digitali

Il problema grosso del nostro Paese è che da una parte non ci sono sanzioni dirette per chi viola il regolamento eIDAS del 2014 sulle identità digitali, che si occupa di firme e documenti informatici. Ma le sanzioni potrebbero essere indirette, cioè potremmo essere noi avvocati a interrogarci sul perché si continuano a violare normative che sono ordinarie o regolamenti europei che le PA dovrebbero adottare. Questo è legato al fatto che abbiamo professionisti troppo tradizionali, come avvocati, notai, ingegneri molto affezionati all’analogico e che non si rendono conto che il loro piedi poggiano ormai su autostrade digitali. Sono autostrade che si possono percorrere in maniera passiva, trascinandosi un peso oppure da protagonisti. Le competenze dovrebbero invece essere ridisegnate: notai digitali, archivisti digitali, medici attenti agli strumenti di telemedicina“.

Quale consiglio darebbe quindi ai professionisti e a chi prende le decisioni?

“Nel mio ruolo di presidente di ANORC Professioni, una realtà attiva da più di dieci anni, ho a che fare ogni giorno con professionisti e amministratori pubblici che devono acquisire competenze indispensabili per vivere nel mondo digitale. Dobbiamo ricordare che anche nel solo momento in cui utilizziamo uno smartphone andiamo incontro a processi di profilazione, condivisione di dati e documenti.

Dobbiamo cominciare a fare in maniera consapevole tutto quello che al momento viviamo in maniera passiva. L’esempio è il piccolo negozio che potrebbe sì, proiettarsi nel mondo dell’e-commerce, ma per farlo non gli basta aprire un sito web, sennò saremmo tutti Amazon!

Amazon ha sviluppato strategie complesse per arrivare dov’è oggi. Noi dobbiamo fare lo stesso per sostenere il commercio, magari avviare delle piattaforme a livello europeo che possano aiutare le imprese a competere in un mercato sempre più complesso e globale”.

ANORC sviluppa costantemente percorsi didattici di formazione per professionisti e imprese attenti alle tematiche della digitalizzazione e della privacy.

 

[Intervista a cura di Agenzia Stampa DiRE]

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