“L’ordinamento europeo si pone sempre al centro del dibattito su diritti e libertà fondamentali che ci riguardano e che il mercato digitale, in mano a pochissimi oligopoli extra UE, mette a dura prova. Quindi non posso che esprimere un minimo di soddisfazione per la Dichiarazione europea sui diritti e i principi digitali. Ma l’amara sensazione è che ancora si concepisce il digitale come qualcosa da nerd, da tenere separato dal mondo reale, da regolamentare a parte”. Andrea Lisi, avvocato, esperto di digitalizzazione, privacy e diritto dell’informatica, presidente di ANORC Professioni e presidente onorario di ANORC, interviene così all’agenzia Dire a poche ore dalla diffusione della Dichiarazione europea sui diritti e i principi digitali.
Il documento pubblicato da parte del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, s’innesta sul solco tracciato dalle iniziative precedenti. Ultima, la ‘Dichiarazione di Lisbona – Democrazia digitale con uno scopo’, in cui gli Stati membri hanno chiesto l’adozione di un modello di trasformazione digitale che rafforzi la dimensione umana dell’ecosistema digitale e sia imperniato sul mercato unico. Il Documento intende promuovere un modello europeo per la trasformazione digitale, che metta al centro le persone, sia basato sui valori europei e sui diritti fondamentali dell’UE, riaffermando i diritti umani universali e apporti benefici a tutte le persone, alle imprese e alla società nel suo complesso.
“A me sembra sempre che questi embrioni di ‘Costituzioni di internet’ si trascinino la vecchia concezione di un web inteso come qualcosa di separato dal reale, una visione che io ho sempre contestato– argomenta Lisi- Il web non è una dimensione separata, non lo sarà neanche il metaverso. Nel senso che le conseguenze delle azioni che possiamo fare online, anche se in un universo virtuale, poi si riflettono nella nostra dimensione analogica. Sono solo strumenti, e come tali è assurdo regolamentarli in maniera separata. Bisogna sempre e comunque sforzarsi di adattare i principi generali del diritto alla rivoluzione digitale che è in atto. Ma la società digitale non è diversa da quella reale, semplicemente i nostri diritti fondamentali e le nostre libertà vanno reinterpretati all’interno di questa evoluzione digitale che ci riguarda come cittadini fisici, non digitali– conclude l’avvocato- Piuttosto che creare delle fratture nell’ordinamento, sarebbe molto più utile non un codice separato di cittadini digitali ma un’evoluzione dei contratti, dei documenti e dei diritti nelle costituzioni nazionali, nel nostro codice civile e in quello penale”.
“Peraltro– sottolinea ancora Lisi- leggendo il considerando n. 10 della Dichiarazione si legge che essa ‘ha natura dichiarativa e, in quanto tale, non incide sul contenuto delle norme giuridiche o sulla loro applicazione’. Se non incide sulla loro applicazione e neanche sulla loro interpretazione, allora a cosa serve? A maggior ragione, me lo chiedo se leggo i contenuti specifici dei vari capitoli proposti che nella maggioranza dei casi ricalcano, in mood più generico, regolamentazioni più specifiche già presenti in modo cogente nell’ordinamento europeo. Insomma, per concludere, questa dichiarazione sarebbe stata di grandissimo valore ed efficacia se fosse contenuta nel trattato istitutivo e se quindi avesse semplicemente integrato la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Così come è oggi è una forma embrionale e scialba di una “Costituzione di Internet” che qualcuno, forse, ancora vorrebbe”.
“Invece, secondo me, dobbiamo avere l’ambizione di arrivare a una Dichiarazione dei diritti dell’uomo che accolga al suo interno le problematiche della digitalità”, conclude l’Avvocato.
Comunicato stampa a cura di Agenzia DiRE