Il caso della 63enne di Bari ‘imprigionata’ dall’app Immuni e poi ‘liberata’ con un tampone (dall’esito negativo) solo dopo il clamore suscitato da un articolo comparso sulla ‘Gazzetta del Mezzogiorno’ “non dovrebbe sorprendere perché’, come molti esperti ripetono sin dall’inizio, il bluetooth non nasce per essere utilizzato da app di contact tracing.
Si tratta di una tecnologia che non è in grado di misurare le distanze accuratamente, nè di capire se ci sono barriere tra le persone o se queste stiano indossando le mascherine. Non bisogna essere esperti di tecnologia, e’ sufficiente un minimo di logica. Se all’alert di Immuni non segue un tracciamento ‘manuale’, cioè’ un’indagine su cio’ che realmente e’ accaduto, e invece scatta un protocollo automatico che invita la persona all’autoisolamento senza neanche effettuare un tampone, si rischia di generare falsi allarmi con potenziali gravi conseguenze“.
Lo sostiene l’esperto di Diritto dell’Informatica e presidente di Anorc Professioni, Andrea Lisi, che in un video avverte: “Il rischio grosso e’ che le persone possano risentirsi, chiedere a qualche avvocato se i loro diritti siano stati violati. Si sta gia’ paventando quali possano essere le richieste di risarcimento se le notifiche sono inesatte. Il collega Giovanni Crea, esperto di protezione dei dati personali, ha paventato anche il data breach, se i dati sono inesatti.
Perché’ i dati inesatti comportano conseguenze per l’applicazione del GDPR. Il titolare di questo trattamento, il Ministero della Salute, dovrebbe interrogarsi su quei dati, su come garantirne l’integrità. Qual è la strategia per garantire tutto questo? Ce lo stiamo ancora chiedendo. Intanto i cittadini sono spaventati e nessuno sta scaricando l’app”.
[Comunicato a cura di Agenzia Stampa DIRE]