L’altra faccia del web. Il contributo dell’Avv. Andrea Lisi su “Le Cahier de Galileo”

È online il numero primaverile della RivistaLe Cahier de Galileo, pubblicazione franco-italiana, di cadenza trimestrale, diretta dalla giornalista Maria Elena Capitanio, Presidente del think tank Galileo.

In questo numero troviamo l’articolo a firma dell’Avv. Andrea Lisi, Presidente di ANORC Professioni e esperto in diritto dell’informatica,  su “L’altra faccia del web“.

Il 6 agosto 1991 dal Cern di Ginevra andò on line la prima pagina web. Ci vollero 17 giorni perché il primo utente esterno al centro di ricerca la raggiungesse. Oggi sappiamo dal report “Digital 2020” (realizzato da We Are Social e Hootsuite) che l’anno scorso sono state circa 4,54 miliardi le persone connesse a Internet e che circa la metà della popolazione mondiale utilizza regolarmente i social network, con un incremento del 9% circa rispetto al 2019. E che i dispositivi mobili sono accessibili a più di 5 miliardi di persone (+2,4% rispetto al 2019), ovvero al 67% di persone sulla Terra. Il solo Facebook gestisce circa 2,7 miliardi di utenti.

Una trasformazione epocale che ha comportato enormi cambiamenti culturali a livello globale sia nell’approccio all’informazione e sia nel nostro essere cittadini in un mondo pervaso di digitale. Se negli anni ‘90 e nei primi anni del 2000 l’utente del web e dell’e-commerce era un utente privilegiato, culturalmente elitario e consapevole anche dei rischi delle sue navigazioni on line, oggi tutti (o quasi) vivono digitalmente, anche i minori di età. E, se prima la asimmetria informativa tra prestatori di servizi informatici e utenti degli stessi era bilanciata dalla maturità di approccio alla Rete da parte dei suoi limitati protagonisti, oggi c’è evidentemente un’emergenza a livello di consapevolezza dei tranelli del mondo web e dei servizi offerti dai social network.

È quindi fondamentale garantire corretta informazione sui diritti di cittadinanza digitale in modo usabile, chiaro ed efficace, seguendo questa trasformazione di abitudini in atto. La normativa europea già a partire dal 2000 ha cercato di garantire, attraverso il principio di “law usability”, trasparenza informativa in favore degli utilizzatori di servizi on line (si fa riferimento alla direttiva 2000/31/CE). E anche le normative UE di tutela consumeristica e di protezione dei dati personali mirano ad assicurare informazioni chiare, sintetiche, affidabili in favore delle parti deboli della società digitale.

Sino ad oggi, però, l’approccio dei giganti del web ai principi di trasparenza informativa è stato poco usabile e molto burocratico. Infatti, in pratica tutti i legal terms e le privacy policy delle principali app presenti sui nostri dispositivi mobili, salvo pochissime eccezioni, si caratterizzano per essere lunghissime e poco leggibili, non pensate per utenti ormai sempre più spesso poco attenti e consapevoli di ciò che ricevono “gratuitamente” on line ([1]). E di gratuito c’è molto poco.

Le dinamiche sociali dei nostri comportamenti on line sono molto più complesse rispetto a ieri e ci portano a fare i conti ogni giorno con nostri diritti e libertà fondamentali. È il salato prezzo da pagare per continuare le nostre “spensierate” navigazioni: le nostre identità sono costantemente profilate e associate a ogni pensiero e comportamento, in una dimensione che non è più solo commerciale, ma ci espone come persone a un pervasivo controllo sociale da parte di voraci tentacoli. Cambridge Analytica ne è solo un pallido esempio.

È urgente decidere se accettare come modello di sviluppo ineluttabile il mercato immaginifico pensato per noi, in forme sempre più predittive, da grandi player che ormai aspirano a diventare padroni assoluti delle nostre esistenze digitali, oppure possiamo provare a riappropriarci del nostro presente, o almeno del nostro futuro, senza dover rinunciare all’innovazione, ma senza neppure essere costretti a inseguire o selezionare quei pochissimi provider disposti a rispettarci di più come individui.

Del resto, non possiamo essere tutti capaci di spulciare condizioni contrattuali, note legali, privacy policy sempre più lunghe e complesse per scovare qualcosa che non ci danneggi troppo. E la partita in gioco si può affrontare solo attraverso una diffusa consapevolezza.

I protagonisti di questa svolta non possiamo, però, essere (solo) noi cittadini. Devono essere consapevoli della posta in gioco anche tutte le agenzie governative e gli organismi di controllo a livello europeo e internazionale. Sono soprattutto i decisori, i nostri politici, a dover acquisire consapevolezza diffusa di ciò che ci sta accadendo. Consapevoli anche dei ruoli precisi da attribuire alle Big Tech. Esse, come operatori di servizi essenziali che impattano sui nostri diritti e libertà fondamentali, devono rispettare precisi principi, anche di trasparenza, negli algoritmi che sorvegliano e animano i nostri comportamenti digitali e che generano inevitabilmente conseguenze precise nella nostra vita. Del resto, “è nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature” ([2]), diceva qualcuno…

[1] In proposito si consiglia la lettura di Visualizing the Length of the Fine Print, for 14 Popular Apps, pubblicato in data 18 aprile 2020 su Visual Capitalist (disponibile alla pagina https://www.visualcapitalist.com/terms-of-service-visualizing-the-length-of-internet-agreements/).
[2] Visconte Alexis de Tocqueville.