Con la sentenza n.7058 del 10 febbraio 2014, la terza sezione penale della Cassazione ha detto no all’utilizzo della posta elettronica certificata nel processo penale. A differenza di quanto accade nel processo civile, per cui l’articolo 366 cpc, comma 2, ha espressamente introdotto l’uso della PEC quale strumento utile per le notifiche degli avvocati autorizzati, nel processo penale, per la parte privata (avvocato), non c’è alcuna legge che preveda il mezzo informatico quale forma di comunicazione ufficiale.
In tale contesto assume rilevanza la disposizione di cui all’art. 4 del dm n. 44 del 2011 che prevede l’adozione di un servizio di posta elettronica certificata da parte del ministero della giustizia in quanto ai sensi di quanto disposto dalla legge n. 24 del 2010 nel processo civile e nel processo penale, tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica devono effettuarsi, mediante posta elettronica certificata. Quest’ultima disposizione è stata rinnovata anche dal dl 179/2012 convertito con modificazioni dalla legge 221/2012 (decreto Crescita 2.0) dove all’art. 16 viene sancito che «nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma dell’art. 148 cpp, comma 2-bis, art. 149 e 150 cpp e art. 151 cpp, comma 2. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria». Ne consegue, pertanto, che per la parte privata, nel processo penale, l’uso di tale mezzo informatico di trasmissione non è, allo stato, consentito quale forma di comunicazione e/o notificazione.