Non era una notizia di cronaca nera, questo però non può giustificare tanta indifferenza da parte dei cittadini. Se fossimo tutti in grado di capire la gravità di quanto è accaduto non staremmo qui a guardare.
Il riferimento è all’enorme bug che ha permesso indistintamente, a tutti i soggetti abilitati a operare sul portale Entratel, di consultare i dati del cosiddetto “spesometro” e delle liquidazioni IVA di qualsiasi contribuente, semplicemente digitandone il codice fiscale o, in caso di intermediario abilitato, di vedere anche i dati relativi a tutti suoi assistititi. Un breach di cui ancora non si conoscono i limiti temporali.
Qualcosa dunque non ha funzionato nel Sistema Paese su cui si basa la fatturazione elettronica (e non solo) in un contesto generale di indifferenza o forse rassegnazione.
Il sistema è stato momentaneamente bloccato, con l’obiettivo di arginare i danni, mentre i Presidenti della Commissione di Vigilanza sull’Anagrafe Tributaria, Portas e dell’Authority italiana per la protezione dei dati personali stanno in qualche modo provando a fare la “voce grossa”, ma equivale un po’ a piangere sul latte versato.
Non è un fatto unico nel suo genere purtroppo, già nel 2008 fu data notizia della diffusione illegittima dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi on-line (sebbene allora il malfunzionamento fosse stato circoscritto a un ristretto arco temporale).
In risposta all’accaduto l’Autorità Garante dei dati Personali aveva imposto all’Agenzia delle entrate un’articolata serie di misure, tecnologiche e organizzative, per innalzare i livelli di sicurezza degli accessi all’Anagrafe tributaria. Anche all’epoca la notizia non sembrò scalfire l’opinione pubblica.
Questa totale indifferenza verso i propri dati personali è probabilmente frutto di una mancata alfabetizzazione digitale, che tra l’altro si pone come un dovere istituzionale, come già previsto dal CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale), ad oggi totalmente inattuato. Il bug reale, più che nel singolo sistema, è da ricercare invece nella capacità di lettura e attuazione della trasformazione digitale raccontata in Piani Triennali nei quali della sicurezza informatica, in mezzo a ripetuti e svogliati slogan, non c’è traccia.
L’indifferenza nei confronti della realtà digitale ci viene imposta anche dalla politica. Basti ricordare le imbarazzanti pillole di democrazia elettronica suggerite dal M5S senza tener conto dei problemi di sicurezza tipici del voto elettronico o altri episodi di violazione della privacy che mettono a nudo la fragilità delle nostre reti.
La sicurezza informatica è dunque un argomento che non scuote l’opinione pubblica, neppure quando gli stessi contribuenti sono i diretti interessati.
Esiste un articolo nel già citato CAD che dovrebbe guidare ogni scelta di digitalizzazione in ambito pubblico: l’art. 51, il quale da ormai da più di 10 anni prevede inutilmente che con specifiche regole tecniche “sono individuate le soluzioni tecniche idonee a garantire la protezione, la disponibilità, l’accessibilità, l’integrità e la riservatezza dei dati e la continuità operativa dei sistemi e delle infrastrutture”. Queste regole tecniche però non sono mai state adottate, non solo, servizi delicatissimi di gestione dei dati vengono affidati con procedimento di tipo “monopolistico”. Tale logica, accentrata e non sottoposta a costante controllo e a salutare alternanza, certo non è utile a garantire un presidio corretto dei nostri dati.
Alcune fondamentali regole sarebbero anche in vigore: il Codice per la protezione dei dati personali (D. Lgs. 196/2003) e anche il Regolamento Europeo 679/2016 (GDPR), la cui piena esecutività è prevista dal 25 maggio 2018, nonostante questo prevale la più totale indifferenza, anche a fronte del salatissimo quadro sanzionatorio previsto in caso di violazione (fino a 20 milioni di euro).
Vogliamo veramente rassegnarci all’assenza di regole?
In prossimità degli adempimenti privacy previsti dal Regolamento Europeo è questo l’esempio che le nostre istituzioni centrali vogliono dare?
Interrogativi che non rivolgiamo solo agli addetti ai lavori, ma a tutti i cittadini affinché prendano coscienza del fatto che vita reale e vita digitale non possono continuare a essere percepite come due entità parallele. Qui si parla dei nostri dati, ossia della sicurezza delle nostre vite.