Modifiche al Codice dei Beni Culturali: si estende la libera riproducibilità ai beni librari e archivistici

Martedì 29 agosto è entrata in vigore la “Legge annuale per il mercato e la concorrenza” (Legge n. 124/2017). Alcune delle novità introdotte dal provvedimento – finalizzato alla “rimozione degli ostacoli regolatori all’apertura dei mercati, alla promozione della concorrenza e alla garanzia della tutela dei consumatori” – hanno avuto una certa risonanza mediatica, per lo più in tema di assicurazioni e bollette. Assai minore, invece, l’interesse suscitato dalle modifiche al Codice dei Beni Culturali (D. Lgs. 42/2004), se si esclude la più ristretta platea di addetti ai lavori, appassionati e fruitori compulsivi di documenti e libri conservati in Archivi e Biblioteche.

Eppure, gli effetti delle nuove norme sono (e saranno) tutt’altro che marginali: il nuovo testo dell’art. 108 del Codice dei beni culturali, infatti, estende la libera riproducibilità dei beni culturali – già prevista dal D.L. 83/2014, c.d. “Art Bonus” – ai beni bibliografici e archivistici, finora esclusi dal regime di liberalizzazione. È un intervento che si attendeva da tempo e che colma l’ingiustificata dicotomia normativa sulla riproduzione dei beni culturali, che tornano a costituite una categoria unica. Non una rivoluzione, ma un atto di buon senso.

beni archivistici

Foto libere in archivi e biblioteche, dunque, ferme restando le condizioni previste dalla normativa vigente. I privati sono liberi di eseguire riproduzioni fotografiche delle fonti documentarie, senza preventiva autorizzazione e senza dover pagare alcun canone, “per uso personale o per motivi di studio (…) ovvero per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro”. L’esecuzione delle riproduzioni potrà avere, invece, “finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero, espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale”.

La libertà di riproduzione non comprende, d’altra parte, i beni archivistici sottoposti a restrizioni di consultabilità, arretra dinanzi alle norme sul diritto d’autore ed è soggetta a precise modalità di esercizio: vietato il contatto fisico con il bene, l’esposizione dello stesso a sorgenti luminose e l’uso di stativi o treppiedi all’interno degli istituti della cultura.

L’allineamento della disciplina relativa ai beni archivistici e bibliotecari al regime normativo applicabile ai beni culturali non è limitato alla riproduzione: anche la divulgazione delle immagini è libera, se svolta – come previsto per la riproduzione – senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale. Entro questi limiti, la divulgazione è consentita con qualsiasi mezzo, a condizione, però, che le immagini siano state legittimamente acquisite e siano divulgate in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro. È condivisibile, sul punto, la scelta di riformulare la norma previgente eliminando il divieto di utilizzo di tali immagini a scopo di lucro indiretto e focalizzando il precetto sull’adozione di misure di protezione dell’immagine che ne impediscano l’ulteriore riproduzione: la formulazione più permissiva, infatti, potrebbe favorire l’adozione di misure diverse dall’uso di immagini a bassa risoluzione, filigrane o contrassegni, finora invalse nella prassi applicativa, frustrando, di fatto, la ratio di liberalizzazione del patrimonio informativo pubblico. Sarebbe auspicabile, invece, l’adozione di metodi che impediscano legalmente – anziché tecnicamente – che terzi lucrino sulle immagini, come, ad esempio, l’apposizione di una licenza Creative Commons di tipo Non-Commerciale. Tale approccio, peraltro, appare particolarmente appropriato alla gestione delle immagini di beni archivistici e bibliografici, più frequentemente riprodotte e divulgate per finalità di studio e di ricerca, come accade, ad esempio, in caso di utilizzo di riproduzioni fotografiche a corredo del testo all’interno di una pubblicazione scientifica.

Se volessimo esprimere un giudizio complessivo sulla modifica, peraltro, non potremmo esimerci dal considerare i passaggi parlamentari e gli emendamenti normativi stratificati nel corso del tempo: come diceva T.S. Eliot, «ciò che diciamo principio, spesso è la fine». È il caso di ricordare, infatti, che questa modifica interviene all’esito di un iter parlamentare non poco travagliato, nell’intento di bilanciare un sistema normativo che, anche per effetto dei successivi rimaneggiamenti, non poteva certamente definirsi equilibrato. I principi ispiratori della riforma, d’altra parte, sono oggettivamente positivi, in grado di apportare nuova linfa alla ricerca scientifica, ma soprattutto rafforzare gli sforzi tesi alla valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale, le cui potenzialità sono spesso del tutto ignorate.

È anche doveroso, però, riflettere sui limiti e sulle criticità della disciplina sulla divulgazione del patrimonio informativo pubblico oggetto di riproduzione. Se infatti, per la riproduzione, le regole da osservare dipendono in gran parte dall’esigenza di preservare l’integrità fisica del bene, per cui si impone l’impiego di mezzi che non implichino un contatto diretto con i documenti (consentiti, ad esempio, fotocamere e smartphone, vietati invece scanner e fotocopiatrici), i limiti alla libertà di divulgazione sono definiti, rispettivamente, dalla legge sul diritto d’autore (Legge 22 aprile 1941, n. 633) e delle disposizioni dello stesso D. Lgs. 42/2004 che impongono restrizioni di consultabilità. A questo va aggiunto, come detto, che le immagini riprodotte possono essere liberalmente divulgate, purché siano impiegate per scopi diversi dal lucro.

Una volta definiti i confini normativi entro i quali si colloca il percorso di liberalizzazione del patrimonio culturale, è imprescindibile che la sua realizzazione non sia ostacolata da chi dovrebbe, invece, preoccuparsi di gestire al meglio il recepimento delle novità normative.

Ci auguriamo, per questo, che l’attuazione concreta della riforma e dei suoi principi ispiratori sia supportata da una più convincente operazione di sensibilizzazione da parte degli enti conservatori, anche in base alla gestione concreta e alle esigenze specifiche di archivi e biblioteche, nella prospettiva di un’autentica valorizzazione del patrimonio informativo pubblico.