All’indomani della 4° puntata di Lo ho-BIT, lo speciale condotto dall’Avv. Andrea Lisi e ospitato da MRTV, la dott.ssa Vitalba Azzollini (giurista e autrice per Fanpage e Domani, fellow di IBL) sceglie di approfondire per anorc.eu il tema delle app statali che, come nel caso dell’italiana Immuni, sembrano essere sempre più relegate al ruolo di semplici cornici applicative di un processo di tracciamento sanitario internazionale direttamente effettuato attraverso i sistemi operativi di grandi player, sui quali non abbiamo alcun effettivo controllo.
L’intervista è stata realizzata da Francesca Cafiero, archivista e referente della comunicazione di Digital&Law Department srl.
F – Immuni e ripresa della scuola: l’invito espressamente rivolto dalla Ministra Azzolina ai docenti per l’adozione dell’App di prevenzione non è stato accompagnato da indicazioni operative. Nella situazione di incertezza che connota l’inizio della scuola, quale sarà lo scenario che si prospetta nel caso di arrivo di una notifica?
V – Si prospetta molta improvvisazione. Già al di fuori dell’ambito scolastico esistono dubbi e incertezze circa ciò che segue all’arrivo di una notifica di Immuni. Si sa che il soggetto che riceve l’alert deve rivolgersi al proprio medico di base – anello di congiunzione con ulteriori forme di assistenza da parte del servizio sanitario nazionale – dal quale ci si aspetta di ricevere istruzioni operative sulla procedura da seguire (ad esempio, a chi rivolgersi nell’ambito dell’azienda ospedaliera di riferimento e secondo quali tempistiche). In realtà, dal momento dell’alert sorgono molti interrogativi: qualcuno risponderà al numero indicato, ed entro quanto tempo? Cosa avviene in caso di asintomaticità? Esiste un termine entro il quale sarà effettuato un tampone?
In poche parole la prospettiva è quella che si possa innescare una reazione a catena di incertezze tale da generare ansia nell’allertato, in mancanza di indicazioni chiare. Ora dobbiamo immaginare tutte queste incertezze in ambito scolastico, dunque riferite anche a soggetti minorenni. Al riguardo, occorre considerare due profili: la procedura a seguito di alert e quella relativa alla gestione sanitaria del caso. Quanto al primo profilo, immaginiamo che la notifica arrivi a scuola sullo smartphone di un alunno o di un operatore scolastico: come ci si deve comportare? Il ragazzo va mandato subito a casa e l’operatore si deve isolare immediatamente? Come si dovrà regolare la classe? E ancora, si pensi all’impatto emotivo sul genitore che, trovandosi a casa o al lavoro, viene informato che il proprio figlio è stato raggiunto da una notifica a scuola.
Per quanto concerne il secondo profilo, riguardante la gestione sanitaria, si dovrebbe fare riferimento a due figure: il referente scolastico, figura introdotta in previsione della riapertura delle scuole, incaricato di fungere da tramite con il referente sanitario, individuato dalla scuola all’interno della ASL come interfaccia per le problematiche mediche che possano verificarsi a scuola. Il referente scolastico sarà competente a dare indicazioni anche nel caso in cui un alunno venga raggiunto da una notifica di Immuni e quello sanitario penserà al resto? Ad oggi non lo sappiamo. Il presidente del Consiglio e il ministro dell’istruzione stanno valutando l’apertura delle scuole “in sicurezza”, ma di fatto non abbiamo sicurezza circa le modalità concrete di gestione dei casi di arrivo di alert dell’App Immuni in ambiente scolastico. Mancano indicazioni a livello centrale: ciò comporterà, di fatto, uno “scarico” di responsabilità sui dirigenti scolastici o sui singoli professori. In concreto, ognuno si arrangerà e farà quello che può.
F – Il collegamento tra l’app e il sistema sanitario dovrebbe rappresentare il vero nodo del meccanismo di funzionamento dell’app e giustificarne l’adozione, poiché lo scopo principale di questo strumento è la tutela della salute dei cittadini. Tuttavia, qual è l’anello che ancora manca tra immuni e il SSN?
V- Partiamo dal comprendere cosa s’intende per “collegamento”. Non si tratta solo della possibilità che il soggetto si rivolga al medico di base o a un operatore dell’ASL. Il “collegamento” va inteso oltre il “primo contatto” umano: esso ricomprende anche un sollecito intervento diagnostico. Non abbiamo un vaccino, ma esistono delle cure. Il “collegamento” deve essere inteso come il mezzo attraverso cui viene effettuata una diagnosi in tempi rapidi e, se necessario, somministrata una cura. Come ha affermato lo stesso Garante circa l’app Immuni, sappiamo che c’è il rischio di falsi positivi, quindi al cittadino deve essere garantita almeno la certezza che saranno svolti accertamenti tempestivi per verificare se davvero è stato contagiato, considerato l’allarme innescato dall’alert.
Il nodo è che – da quanto emerge dalle cronache dei giornali – non vengono fatti tamponi a tutti quelli per i quali servirebbe un immediato controllo, e i test sierologici sono cosa diversa, come spiegano i virologi. In mancanza di tamponi, reagenti e personale, cioè se non c’è la diagnosi, la sicurezza manca. Il cittadino è abbandonato a se stesso e alla sua paura. Così forse preferisce non sapere o, semplicemente, non avendo garanzie riguardo a ciò che potrà accadere, non scarica l’app.
È importante chiarire quindi che per “cura” non si deve intendere il mero isolamento del soggetto potenzialmente contagiato: l’isolamento è una misura di tutela nei confronti di terzi, perciò non equivale a curare, anche nel senso di “prendersi cura” del soggetto stesso, una volta che sia stato raggiunto dall’alert di Immuni. È questo il vero anello di congiunzione che manca tra Immuni e sistema sanitario nazionale: qualcuno che si prenda cura della persona, la assista e si preoccupi che abbia una diagnosi sollecita ed eventualmente le cure mediche del caso.
F – Questo si ricollega al tema della fiducia tra cittadino e istituzioni. Di base si ha la sensazione che manchi la fiducia perché manca la comprensione dei meccanismi di prevenzione attualmente in uso, nonché delle potenzialità di una simile soluzione. È così?
V- Il concetto di fiducia è molto importante, e trova fondamento nella trasparenza, che purtroppo non sempre c’è stata. Sin dai primi momenti, decisioni relative all’app sono parse circondate da un velo di opacità: non sappiamo perché siano state operate certe scelte, dalla selezione della task force alla definizione di alcune caratteristiche del meccanismo di tracciamento. Ad esempio, grazie a ostinate richieste fatte da esperti sono state apportate alcune correzioni relativamente alla tutela dei dati personali. Ma resta l’opacità su alcuni profili evidenziati in precedenza. Si tratta di elementi importanti per permettere che i cittadini comprendano questo strumento, del quale talora non conoscono appieno i rivolti legati al funzionamento.
F – A questo proposito, tornando alla scuola: occorre precisare che l’app può essere scaricata solo da ragazzi e ragazze che abbiano compiuto i 14 anni di età, su libero consenso. Ma come potrebbe conciliarsi questo vincolo di “libertà” con quello che è il rapporto gerarchico professore-studente: di fatto si potrebbe generare un clima di “obbligatorietà” nei riguardi dell’adozione dell’app?
V- Basta anche una domanda posta in un certo modo, persino un semplice invito, a indurre uno stato di soggezione da parte del minore nei confronti del docente. Trattandosi di un rapporto di forza squilibrato, la richiesta potrebbe in qualche modo viziare il consenso: allora, quest’ultimo potrà dirsi davvero libero? Stessa cosa può valere circa il rapporto tra dirigente scolastico e docente. Peraltro, potrebbe generarsi una sorta di catena il cui ultimo anello è rappresentato proprio dallo studente.
A questo proposito si noti che sul sito di Immuni è previsto che i minori di 14 anni debbano procedere al download previo consenso dei genitori: l’argine sono le famiglie, che dovrebbero monitorare l’uso dell’applicazione, verificando la reale consapevolezza del minore e l’assenza di fattori che possano averlo influenzato. Tutto ciò sarà realmente possibile?
F – L’adozione dell’app è stata supportata da campagne di comunicazione istituzionale. Ma questa “propaganda” risponde davvero ad un’azione di informazione al servizio del cittadino?
V- Voglio premettere che la tecnologia può essere un grande aiuto per tutti: tante applicazioni hanno migliorato la nostra vita. Sono assolutamente favorevole alla tecnologia al servizio del cittadino. Ma esiste differenza se la tecnologia è proposta da un soggetto pubblico o da un soggetto privato.
Scaricare una app da privati presuppone un rapporto contrattuale tra due parti, che rispettivamente garantiscono e accettano certe condizioni riguardanti il servizio reso. Insomma, si tratta di un rapporto di mercato. Diverso è, invece, il rapporto tra il cittadino e lo Stato: ci sono Istituzioni che ci invitano ad usare l’app Immuni e campagne informative sulle reti del servizio pubblico. Non è un rapporto di tipo commerciale. Se l’obiettivo dello Stato con questa app è quello di tutelare la salute dei cittadini, ci si aspetta che lo Stato fornisca garanzie specifiche, soprattutto riguardo al “collegamento” – di cui abbiamo parlato prima – con il servizio sanitario nazionale.
A questo punto mi chiedo: se chi dovrebbe assicurare questo tipo di collegamento, convogliando il caso di un “allertato” verso le strutture mediche preposte, poi non dice cosa c’è in fondo alla strada, allora temo che almeno sul piano comunicativo, se non proprio operativo, l’Istituzione sia carente. In altri termini, se si indirizza la scelta del cittadino verso una determinata soluzione tecnologica, è necessario vi sia trasparenza circa ogni fase del relativo percorso.
Se c’è opacità su alcuni passaggi, così come sulla conclusione del percorso, la soluzione tecnologica resta monca, e anche a chi ha fiducia nella tecnologia non resta che astenersi dall’utilizzarla.